Stasera, prima di andare a letto, mi sono ripromesso di non lasciare post non letti nelle mie tante chat e soprattutto alcun messaggio senza risposta.
Ero già stato solerte nelle ore precedenti e premuroso nel restituire il mio parere ad ogni domanda che mi era stata rivolta.
Mentre provavo una certa soddisfazione nel ridurre il numero dei segnalini su Whatsapp, promemoria delle pendenze irrisolte, mi sono reso conto che, come diminuivano quelle, contemporaneamente ne aumentavano altrettante in svariate chat.
Pareva che si animassero, prese da un fervore terminale, come spettri maliziosi.
Allora ho cercato di smaltirli velocemente, ma mi raggiungevano subito se dedicavo più di trenta secondi a conversazione in quella corsa spasmodica per non farmi sovrastare.
Più risolvevo il pregresso e più mi superavano con nuovi altri.
Ho capito che, se avessi voluto adempiere al compito che mi ero riproposto, avrei dovuto farlo per lavoro!
In pratica, dovrei stare solo su Whatsapp. Non potrei svolgere altre occupazioni!
E Telegram, dove lo mettiamo?
Non mi arrischio a dare una risposta avventata per non urtare la sensibilità dei più pudichi ai quali dovrei dar conto anche del trattamento di Facebook e VKontakte.
Per fortuna, non mi sono mai fatto irretire da Istagram e da TikTok.
Non sento la necessità del primo, non avendo ancora ricoperto il ruolo di Presidente degli stati Uniti d’America e avendo abbondantemente superato l’età dell’adescamento dai fan del secondo.
Tanta dispersione di attenzione non è gestibile. Penso che non sia opportuno sacrificare impegni più intellettuali a tale conoscenza. Di cosa poi? Di quello che decidono gli altri che si debba sapere.
Siamo arrivati al punto di renderci discenti di questa ‘didattica popolare avventizia’, in forma di social, in luogo della nostra scelta di un libro, al cui argomento saremmo più interessati culturalmente o di un autore che preferiremmo seguire.
Poi c’è la posta elettronica di cui io possiedo quattro caselle, oltre quelle dei miei parenti che me ne hanno demandato il controllo.
Una soluzione immediata è stata quella di eliminare tutti i messaggi degli ‘Instant Messaging’ in blocco, svuotando la relativa chat con un taglio draconiano.
Ma a che serve averla, allora, se non le si dedica l’attenzione richiesta?
Ne convengo e comincio ad abbandonare radicalmente i gruppi, sperando di non perdere quei pochi contributi veramente utili, infinitesimali rispetto al turbine di ‘scarichi’ in quegli sfogatoi preposti ad accogliere urla dissonanti e infertili.
Anche i gruppi dichiaratamente tematici e quelli più sorvegliati vengono inesorabilmente invasi dalla marmaglia che ‘dice ciò che non riesce ad affermare altrimenti’. E sono in tanti. Ormai troppi e troppo lo sono i frustrati che assumono il piglio del “leone da tastiera”, a scapito della comprensibilità e della pace sociale.
Ovviamente non me la prendo con loro, conscio di aver fatto inevitabilmente lo stesso anch’io, qualche volta, nel tentativo d’informare su qualcosa d’importante, almeno per me.
Tutto ha un tempo. Risolvo che è ormai inconcludente la sterilizzazione dell’analisi politica al rango di diagnosi generaliste e di precetti qualunquisti.
E’ tempo, invece, di agire nelle amministrazioni, informare le famiglie e le piazze delle nostre idee, se ne abbiamo, abbandonando le schermaglie sugli schermi per assumere connotazioni più umane, pur se è in agguato il rischio di apparire un po’ rozzi e anacronistici, almeno finché non riassumiamo collettivamente un ritmo di vita che si adegui ai cicli circadiani.
Auspico che i costumi si evolvano entro i periodi del normale apprendimento, dell’assuefazione e della storicizzazione del relativo cambiamento, con un ritmo più fisiologico per un animale, come questo homo sapiens transumano che, nella frenesia dell’accaparramento di nozioni nuove, sta cedendo fette importanti del primo attributo tassonomico al secondo, per la fretta asociale impressa dai social.
Carlo Zeuli