Gli anni sessanta e settanta del secolo scorso, sono stati gli anni del riposizionamento sociale della figura femminile: da madre e sposa a compagna ed amica, da casalinga a lavoratrice, con un nuovo approccio (anche maschile) alle competenze delle donne, soprattutto in un Paese come l’Italia, fortemente patriarcale, dove il delitto d’onore è stato sanzionato solo dal 5 settembre 1981: da tale data vengono aboliti il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, due lasciti legali del Codice Rocco di epoca fascista; capite bene che parliamo solo di qualche decennio fa.
Questa “rivoluzione” – che parte dei moti studenteschi del 1968 e prosegue con l’affermarsi del femminismo, spesso legato alla lotta dell’estrema sinistra (anche di matrice terroristica) – ha, però, interessato solo una minima parte della popolazione, almeno all’inizio, anche se poi – con il tempo – ne ha beneficiato tutta la popolazione, femminile e no. In questa trasformazione della società, non immediata e non uniforme, si è avuta una educazione discronica o schizzoide dei giovani nati in quel periodo: le mamme dei nati a cavallo degli anni ’60 e ’70 hanno impartito una educazione differenziata fra i figli maschi e le figlie femmine; ai figli maschi hanno dato una educazione tradizionale, dove il ruolo della donna è relegato alla cura della casa e della famiglia, ed alle figlie femmine hanno insegnato l’indipendenza lavorativa, solo in subordine la famiglia. Questo ha creato due generi in perenne conflitto, dove i maschi cerca(va)no (talvolta trovandole solo nelle donne dell’Est) mogli e compagne casalinghe e dove le donne hanno iniziato a perseguire obiettivi di lavoro e carriera, rinviando nel tempo la possibilità di diventare anche madri, con inevitabile innalzamento dell’età riproduttiva e la procreazione di figli unici.
Gli effetti di questa dicotomia si sono registrati a partire dalla fine degli anni ’90, con una impennata di unioni effimere o con l’aumento dei divorzi, arrivando (ormai) a coinvolgere la metà della popolazione adulta, al netto di chi ha ed ha avuto rapporti informali o dello stesso genere. La stabilità dei rapporti è stata messa fortemente in crisi, non solo perché gran parte delle coppie è formata da soggetti che lavorano e – quindi – con tempo limitato, ma anche perché la capacità di contenimento delle emozioni e di composizione dei litigi è fortemente scemata, essendo divenuto sin troppo facile scegliere di sciogliere il matrimonio (o l’unione) piuttosto che mettersi in discussione e provare a recuperare il rapporto, con un facile passaggio dalla libertà al libertinismo, senza – con ciò – voler esprimere un giudizio morale.
Conseguenza, l’incapacità di educare la prole, cioè di inculcare nei figli principi di etica e morale, preoccupati più di “farseli amici” piuttosto che dare esempi e consigli, talvolta punizioni attraverso una educazione che può venire solo dalla famiglia (tradizionale, allargata, di single non importa) e non essere demandata alla scuola, piuttosto che ad altre istituzioni (parrocchia, palestra, ecc.). Viene così a mancare un punto fermo di riferimento per i giovani, soprattutto gli adolescenti, che traggono notizie ed esempi dal web, senza avere la capacità di discernimento fra ciò che è bene e ciò che è sbagliato, emulando chi “appare” ed indipendentemente dal perché appaia sui social e su ogni strumento di comunicazione: l’importante è apparire, è l’immagine che ognuno riesce a dare di sé, non il fatto di essere qualcuno per qualche cosa.
La società dell’immagine e del consumismo – che è stata creata per vendere ogni genere di prodotto – incanala queste pulsioni, spesso inconsce, impedendo il contatto con la realtà e, quindi, creando “mostri” scollegati con la realtà stessa, il cui unico obiettivo è raggiungere una notorietà effimera e non importa se è rappresentativa del Male, l’essenziale è che sia visibile al maggior numero di persone possibile: contano le visualizzazioni e non le azioni che sono alla base, contano i like.
Se oggi assistiamo ad una recrudescenza di violenze di branco, esse sono figlie di una mancanza di valori morali e sociali, dove i colpevoli materiali sono i ragazzi, ma i “mandanti” sono quei genitori che si sono estraniati dal loro diritto/dovere di educarli, perché educare costa in termini di tempo e fatica, di contrasti e ribellioni. In questione non c’è solo la violenza fisica, purtroppo spesso perpetrata da minori su minori, ma anche la violenza verbale che è il primo stadio di una violenza etica che coinvolge tutti, genitori e figli. Violenza contro gli anziani, violenza contro i beni artistici, violenza contro la bellezza: siamo la società della violenza, dell’insulto (spesso gratuito), della denigrazione del corpo altrui, dell’osceno portato ad esempio.
Non stupiamoci, perciò, di quanto sta accadendo fra i nostri ragazzi: dicevano i Romani che i ragazzi sono come tavolette di cera, su cui gli adulti scrivono la loro storia; ebbene, ci sono adulti analfabeti morali e culturali che scrivono la violenza su questi ragazzi, dove Sodoma e Gomorra sono in terra, sono tra noi, sono nei film, nei libri, nelle storie che scriviamo e raccontiamo, nella televisione sempre più sciatta e volgare.
I colpevoli sono tra noi, li conosciamo ma non li isoliamo ed – in qualche caso – li idolatriamo.
ROCCO SUMA