Della dittatura del dipendente: breve storia di un falso d’autore

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C’era una volta il turismo e, nel turismo, la ristorazione. C’erano il padrone cattivo, il dipendente sfruttato, la solidarietà di classe e la ribellione contro lo sfruttatore. Poi vennero le piattaforme dove i clienti scrivono le recensioni e la storia prese anche altri contorni. 

Non è in dubbio che vi siano stati (ed ancora possono esserci) titolari di locali che non facevano (fanno) contratti regolari ai propri dipendenti o contratti diversi da quanto in realtà svolto, sia in ordine al tempo, sia in ordine alla mansione e in questo andando contro la legge e contro L’Etica. 

Però la galassia della ristorazione (e, in generale, del lavoro dipendente, nel turismo e no) ha subito una trasformazione e non solo con l’avvento del reddito di cittadinanza o con tutte le forme di contribuzione a fondo perduto inventate da una certa parte politica per acquisire consenso, con buona pace di chi davvero è in stato di bisogno. La pandemia ha disabituato al lavoro ed al sacrificio molte categorie di lavoratori, soprattutto fra coloro dove il tempo assume una valenza “particolare”: io lavoro quando gli altri si divertono e, in questi, camerieri, addetti di sala, addetti ai piani per le pulizie, cuochi e relativi aiuti, lavapiatti, ecc. ecc.

Questa situazione ha incentivato il sottobosco del “nero”, ma a parti invertite: ora è il dipendente che preferisce essere pagato in maniera occulta, per non perdere i benefici del contributo statale, infischiandosene di una previdenza che – probabilmente – in futuro non potrà garantirgli nulla. E, tuttavia, questa situazione è pericolosa solo per il datore di lavoro, che rischia in proprio in caso di verifica dell’ispettorato competente, in quanto il dipendente è la parte presuntivamente vessata e non quella che oggi detta le regole, decidendo di smettere la collaborazione da un giorno all’altro senza motivi e senza sanzioni.

Tornando alle piattaforme tipo Google o Tripadvisor si scoprono notizie piccanti: dal cameriere che lascia il proprio numero alla avvenente cliente, a quello che flirta “in presenza”, a quello che sbatte il piatto sul tavolo o mette le dita nel piatto e così via; tutti comportamenti che possono sfuggire al datore di lavoro, magari più attento alla cucina che al comportamento di quelli che dovrebbero lavorare in maniera professionale, ma poi si rivelano avventizi e – con la penuria di personale – te li devi tenere!. Per non parlare, poi, delle minoranze che si sentono costantemente vessate: dal trasgender, al personale di colore, dall’omossessuale: ogni osservazione fatta non è indice di mancanza di professionalità o suggerimenti per migliorarsi, ma una offesa perché differente; con buona pace per coloro i quali si sono – invece – sempre dimostrati attivisti per la tutela della diversità!.  

In un momento in cui anche le favole vengono rivisitate, forse si dovrebbe riportare a realtà vissuta il rapporto con il dipendente nella ristorazione: orari mai rispettati dai cuochi, scarsa capacità relazionale dei camerieri, presunzione – data dalla poca reperibilità in un lavoro sicuramente di sacrificio – di essere indispensabili (e, qualche volta, lo sono davvero).

Per non parlare del rapporto con i cuochi, tutti diventati chef alla Cracco spesso (troppo spesso)  inventatisi tali dopo aver fatto i venditori di auto o i rappresentanti di vario genere, riciclati nelle cucine per aver saputo fare un uovo in camicia ed adorati da un pubblico di svenevoli compagne di partito. Anche qui la professionalità è un optional non obbligatorio mentre il titolare è comunque responsabile delle nefandezze che accadono in cucina (magari cibo scaduto o prodotti che “spariscono” nei bagagliai delle proprie auto), con il datore di lavoro che rimbrotta il personale e chiede il rispetto delle più elementari norme di lavoro: e giù l’offesa alla sacralità del lavoro, che è sempre a senso unico ed in favore del povero dipendente.

Magari qualche sindacalista si straccerà le vesti, ma dovrebbe uscire dal suo comodo ufficio ed entrare in una azienda, alle prese con F24, rid, tfr, iban e certificati vari, per comprendere come le favole sono cambiate in peggio ed ai sette nani non va più bene fare i minatori ed al principe azzurro  non è dato più corteggiare Biancaneve. Di neve, forse, qualcuno ne fa uso, ma questa è un’altra storia.

ROCCO SUMA

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