Della riforma della Giustizia se ne parla dalla nascita di Cristo

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Ahi Ahi. Ci tocca. Sì è arrivato il momento di commentare la Giustizia. Non perché lo voglia particolarmente eh! Ma perché sta per diventare un argomento dibattuto in queste ore, più o meno come capita da circa 2000 anni a questa parte.

Se ne occuperà la politica; se ne è già occupato il CSM con i suoi scandali a riportare l’argomento di stretta attualità; se ne occupano i giudici e gli avvocati, sia con i loro organi associativi che per lavoro, dato il gran da fare di corruzione in quella casta sempre meno casta e pura che è la magistratura.

A rima fatta, sarebbe d’accordo Bertolt Brecht, quando ricordava che “Molti giudici sono incorruttibili, nulla può indurli a fare giustizia”.

Ed allora eccolo il tentativo di riforma, un aborto spontaneo perché non è motivato dalla necessità di cambiare le storture.

Palamara non docet. A tutti deve sembrare di cambiare per poter arrivare ad un compromesso che eviti rogne al Quirinale, che faccia dire ad ANM ed avvocati d’aver vinto e poter tirare a campare qualche altro annetto, dicendo d’aver fatto i compiti a casa.

Già. Perché è di questo che stiamo parlando. 

Non dell’esigenza avvertita che non si può continuare così, ad essere condannati dall’Europa per le lungaggini nei processi penali ed avere procedimenti civili che, se va bene, durano decenni.

Parliamo del PNRR, quel prestito con una percentuale di fondo perduto che farà arrivare miliardi, circa 200, nelle casse italiane per raggiungere alcuni obiettivi.

Non preoccupatevi, però. Sono quisquilie, pinzillacchere facili facili da fare. Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura. Rivoluzione Verde e Transizione ecologica. Ed ancora, infrastrutture per una Mobilità Sostenibile, Istruzione e Ricerca. Con in più Inclusione e Coesione ed, ultima ruota del carro, Salute. 

Una rivoluzione che deve essere preceduta – e qui sta l’inghippo – da importanti riforme che riguardano la pubblica amministrazione, la giustizia, la semplificazione normativa e la concorrenza. Principali beneficiari sono le donne, i giovani e il Mezzogiorno con lo scopo di ridurre i divari territoriali e favorire l’inclusione.

Cioè, tradotto e riassunto, per avere i soldi (che dovremmo spendere entro il 2026 ma è un altro discorso) dobbiamo riformare la pubblica amministrazione (ricordando che l’unica grande riforma la fece Cavour nel 1853); quindi riformare la giustizia, problemino secolare che coinvolge anche la forma mentis degli operatori del diritto; svolgere una piccola opera di sfoltimento normativo di qualche milione di norme ed aprire il mercato alla concorrenza che susciterà, se fatta seriamente, la rivolta di milioni di partite iva che vivono di autorizzazioni e licenze contingentate, ad esempio. 

Visto che ci siamo risolviamo anche il problema del lavoro femminile, dei giovani e del sud. Tutto insieme. Mi raccomando. E subito pure.

Siamo un Paese meraviglioso. Diciamocelo. Basta dire la parola riforma e si discute. Ma non si riforma nulla, veramente.

Allora si pronuncia la formula magica “cambiamento” e si vota a capocchia, nella speranza che quelli dopo siano migliori di quelli prima, eppure sono sempre gli stessi.

Il tutto mentre il mondo va in guerra, siamo ancora in pandemia anche se non più in stato d’emergenza e l’ANM dichiara il prossimo sciopero dei magistrati.

Come dite? La terza che ho detto non importa una mazza? Bhè, in effetti…

GIANPAOLO SANTORO

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