Una data simbolica, per ricordare un tema caldo ma di vitale importanza. Com’è noto, il 25 novembre di ogni anno si celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Un tema che sui nostri portali stiamo trattando con grande attenzione: la riprova ne sono i numerosi articoli e punti di vista di quegli studenti che hanno aderito all’iniziativa ‘Bariseranews School’ e che dimostrano una maturità dei più giovani su questi argomenti. Un bel biglietto da visita, si spera, per le generazioni future.
Futuro che non può dimenticare il passato ma, soprattutto, il presente. Tanto c’è ancora da fare. Perché se è vero che da ormai 40 anni, e fortunatamente, non esiste più il ‘delitto d’onore’ (che prevedeva pene lievissime in caso di omicidio anche di consorti, donne in generale o compagne), quella femminile rimane una categoria da tutelare e più esposta ad episodi poco edificanti. Basti dare un’occhiata ai dati dell’ultimo anno: sono 109 le donne morte dall’inizio dell’anno, l’8% in più rispetto al precedente. Di queste, 63 hanno perso la vita per colpa di un ex o del partner. Vite che niente e nessuno potrà restituire agli affetti più cari. L’ultima vittima di femminicidio, poi, non è nemmeno così distante nel tempo: venerdì scorso, a Reggio Emilia, ha perso la vita Juana Cecilia Loayza, uccisa in un parco di notte. E ancora: sono 89 al giorno le donne vittime di reati di genere in Italia, e nel 62% dei casi si tratta di maltrattamenti in famiglia. E’ quanto emerge dai dati diffusi per la presentazione a Catania di ‘Questo non è amore’, campagna di prevenzione della Polizia contro la violenza sulle donne, giunta quest’anno alla sua quinta edizione.
E se la denuncia di questo stato di cose arriva anche dalla ministra della giustizia Cartabia qualcosa vorrà pur dire: “Troppe le donne uccise – ha detto – troppe le richieste di aiuto non adeguatamente e tempestivamente raccolte. Una vergogna della nostra civiltà”. Se poi, come sostiene AstraRicerche, un italiano su quattro pensa che non si possa davvero considerare una forma di violenza quelle sulle donne il quadro è completo. Perché le tesi del tipo ‘era vestita in un certo modo, se l’è cercata/secondo me ci stava’ sono quanto di più sessista e giurassico possa esistere. Prima delle leggi (necessarie, andrebbero rafforzate ancora e su questo si sta lavorando in parlamento, cosi come sull’inasprimento delle pene per percosse e lesioni) è la mentalità e la cultura che devono cambiare, il cambiamento di un paese come l’Italia deve partire da qui. E deve espandersi anche in altri ambiti. Le violenze non sono soltanto fisiche, ma possono essere anche morali.
No alla violenza sulle donne, oggi e sempre. Ma oltre le parole serviranno sempre più fatti. E buon senso: alzare le mani o mancare eticamente di rispetto non è sinonimo di virilità.